In principio furono “I Morti”. Prima di Halloween, delle streghe, delle zucche e di tutte le altre novità importate dall’America, in Sicilia si festeggiavano I Morti, il 2 novembre.
La Festa dei Morti altro non è che la festa cristiana dedicata alla commemorazione dei defunti, cui si connette una tradizione estremamente viva nella cultura siciliana, almeno fino a qualche anno fa, fatta di dolci tipici (fruttini di martorana, pupi di zucchero, ossa dei morti…), regali ai bambini, fiere, mercatini ed, infine, visite al cimitero. Le origini della festa probabilmente risalgono a prima del cristianesimo e discendono dai culti pagani dei defunti.
La tradizione popolare ha fatto dei “Morti” entità benevole che portano dolci e giocattoli ai bambini, a condizione che siano stati buoni. Ai “monelli” non viene portato nulla. O peggio, carbone.
Un po’ come accade a Natale, solo che la Festa dei Morti è venuta molto, ma molto prima.
In questa pagina, troverete una bellissima descrizione della festa, scritta da Giuseppe Pitrè, il più importante raccoglitore e studioso di tradizioni popolari siciliane.
Nella mia famiglia, i regali non arrivavano tutti gli anni, ma non sono mai mancati i fruttini di martorana (il cui nome deriva dai dolci di marzapane, a forma di frutta, che venivano preparati dalle suore del convento della Martorana), che mia madre preparava in casa, sotto il mio sguardo estatico.
E’ una tradizione cui sono molto legata, una delle cose che più ho amato condividere con mia madre durante l’infanzia; ogni anno mi sembrava una sorta di magia… Da quando mi sono sposata, non li avevo più preparati, ma quest’anno ho voluto rifarli, insieme a lei, ovviamente. E così, ho comprato tutti gli ingredienti, sono andata a casa sua, abbiamo tirato fuori le formine di gesso (mi dicono che adesso, per questioni di igiene, le stiano facendo di silicone…beh, mi dispiace, ma non mi convertirò mai al silicone! le formine di gesso sono una parte fondamentale della tradizione…) e ci siamo messe al lavoro.

La ricetta di mia madre, tramandata dalla sua bisnonna, è talmente segreta che ho dovuto faticare per convincerla a lasciarmela pubblicare (e lo so che se adesso googlassi “pasta di mandorle ricetta” probabilmente ci troverei anche la mia, ma lasciatemi, anzi lasciateCI credere che sia ancora un segreto…). Si, perchè la nostra pasta reale (o pasta di mandorle) è completamente diversa, per ingredienti e preparazione, da quella diffusa in tutto il resto della città, preparata dai pasticceri e venduta un po’ dappertutto. La nostra prevede una lavorazione a caldo, che parte da uno sciroppo di zucchero, mentre la classica pasta reale viene lavorata a freddo, mescolando la farina di mandorle con glucosio, zucchero a velo, in alcuni casi albume d’uovo, ed aromi vari. Inoltre, in casa mia la pasta viene lavorata poco, rinunciando, forse, alla perfezione estetica a vantaggio del gusto. Il risultato finale per me è totalmente diverso da qualsiasi altro mai assaggiato. La nostra pasta di mandorle è una pasta granulosa ed aromatica, molto dolce, certo, ma con un intenso sapore di mandorle; l’altra è liscia e compatta, eccessivamente “perfetta” (i maligni la associano al gesso, o al pongo…ma non io! io dico solo che è diversa…) e, secondo me, poco profumata. Ma si sa, i gusti son gusti ed ognuno è affezionato alla propria tradizione familiare!
Mentre facevo un tuffo nel passato, preparando questi dolcetti, ho tentato di fare qualche foto del procedimento (non sono delle belle foto, ma c’era una pessima luce, mia madre adora la luce soffusa e le abatjour!!!) . E spero, un giorno, di poter condividere questa tradizione con i miei figli, anche se il mondo di oggi è totalmente diverso e Halloween sta soppiantando, nel cuore dei più piccoli, la vetusta tradizione dei Morti.
Intanto, la condivido con voi.
Ingredienti
500 g di farina di mandorle
250 g di acqua
1 kg di zucchero
1 bacca di vaniglia/1 cucchiaino di estratto di vaniglia
formine di gesso
amido
coloranti alimentari in polvere
cacao amaro in polvere
pennelli
a piacere “lucido trasparente” per alimenti (io non lo uso)
Preparazione
Almeno dodici ore prima di iniziare, prendete un tegame basso e largo (tipo una risottiera) e versateci l’acqua, lo zucchero e i semi della vaniglia. Copritelo e lasciatelo riposare.
Tirate fuori le formine di gesso (che non devono mai essere conservate in un contenitore chiuso, hanno bisogno di prendere aria) e pulitele con un pennello o uno spazzolino morbido.

Trascorso questo tempo, mettete la pentola sul fuoco e, mescolando continuamente, attendete che si formi lo sciroppo di zucchero “al piccolo filo”. Lo sciroppo sarà pronto quando, mettendone una goccia tra pollice ed indice, precedentemente bagnati di acqua fredda (attenti alle scottature!), formerà un “piccolo filo”. Il piccolo filo è il primo dei sei gradi di cottura dello zucchero, in merito alla quale trovate abbondanti e, certamente, più accurate informazioni in rete. Raggiunto il giusto grado di cottura dello sciroppo, aggiungete la farina di mandorle versandola a pioggia e mescolate continuamente e vigorosamente con un cucchiaio di legno. Appena terminate di versare la farina, calcolate 6-7 minuti di cottura, durante i quali dovrete sempre mescolare con energia, come se faceste la polenta! La pasta sarà pronta quando apparirà più compatta e sembrerà staccarsi più facilmente dalle pareti (non si staccherà mai completamente però). Togliete il tegame dal fuoco e versate la pasta di mandorle in piccoli mucchi su un tagliere di legno o marmo. Appena sarà tiepida, manipolatela delicatamente, ma senza esagerare; dovrete come compattarla tra le mani più volte, fino a quando la superficie esterna sarà liscia, ma dentro la pasta apparirà ancora granulosa.
Prendete un pezzetto di pasta e mettetela in una delle formine che avrete spolverato con amido o, in alternativa, ricoperto con pellicola trasparente. Tagliate l’eventuale eccesso con un coltellino affilato, schiacciatela con le mani arrotondandone la parte posteriore e, infine, rovesciate il vostro “fruttino” su un vassoio. Proseguite così fino ad esaurire la pasta, ma siate veloci perché tende ad asciugarsi in fretta, rendendo più difficoltosa la formatura.

Quando avrete terminato, lavate molto velocemente le vostre formine (la maggior parte delle persone sostengono che non debbano assolutamente essere lavate, ma quelle che vedete nella foto sopra hanno almeno quarant’anni e vengono lavate tutti gli anni…) con acqua appena tiepida, quindi asciugatele con un panno pulito e lasciatele all’aria almeno altre 24 ore prima di riporle in una cassetta o scatola priva di coperchio.
Dopo aver lasciato asciugare i fruttini per un giorno (su un vassoio coperto di alluminio), potrete colorarli. Preparate i coloranti in polvere, il cacao (che io uso come colore marrone, al posto del colorante), dell’acqua, dei piattini e dei pennelli. Mettete un pizzico di colorante in un piattino, unite una goccia d’acqua e diluitelo. Se avete utilizzato l’amido per formare i fruttini, spolveratelo via prima di colorarli. Colorate le varie parti dei fruttini, avendo cura di pulire i pennelli prima di cambiare colore, a meno che non desideriate ottenere delle sfumature mescolando i colori. Fate per ultimi i dettagli, come i puntini neri, le strisce, ecc, utilizzando un pennellino molto sottile.
Lasciate asciugare i fruttini alcune ore e, se desiderate, lucidateli con una vernice trasparente per alimenti. Noi non l’abbiamo mai fatto, perché il lucido evidenzia le imperfezioni!
Conservateli ben chiusi in un contenitore ermetico o una scatola di latta. Non occorre dire che sono ipercalorici, quindi consumateli con moderazione!
Se volete regalarli, confezionate i vostri fruttini in piccole cassette di legno, o cestini, panierini o quel che più vi aggrada, sul cui fondo adagerete un po’ di paglia per alimenti, trasparente o color legno. Qui da noi la scelta delle confezioni è ampia ed ogni famiglia ha il proprio stile. Io adoro queste piccole cassette di legno, che imitano quelle vere della frutta!
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